YELLOW MAGIC ORCHESTRA
Cercate in rete una qualsiasi intervista a questi tre piccoli (di statura) musicisti: le loro voci scandiscono parole pacate, affabili, quasi sornione, come se uno sguardo beffardo si posasse sulle orme di una grandezza che finge di non comprendere. Ma non c'è inganno: è l'umiltà del genio, della vera intelligenza, quella di chi il capolavoro lo partorisce e poi ci ride sopra. Ma forse davvero non si
rendono conto che "Solid State Survivor" è un hapax dell'elettronica tutta, un disco che ha saputo rilanciare globalmente il panorama musicale di un intero paese. Meriterebbero monumenti, medaglie all'onore, iconografie e memorabilia appese alle pareti degli Hard Rock Cafè di tutto il mondo; ma a pensarci bene, non ne hanno bisogno. I costumi di scena, le scenografie, i pionieristici effetti grafici, per loro, erano solo divertissement. Le armi vere gli spartiti e i sintetizzatori. Nessun contrafforte d'immagine, nessun compromesso commerciale, solo l'autenticità di uno dei più creativi e fruttuosi sodalizi nella storia della musica. Così, nel giro di un biennio, i tre amici che sognavano Düsseldorf superarono l'oceano e arrivarono a solcare i mercati più lontani e tanto agognati, europei e americani, prima bazzicando piccole topaie londinesi, poi grandi Odeon internazionali. Il techno-pop giapponese fece scalpore e il successo fu immediato. Ryuichi Sakamoto (pianista dall'età di quattro anni e neolaureato all'Università delle Arti di Tokyo come compositore d'eccellenza, nonché esperto di musica tradizionale giapponese) era alla prime esperienze in studio e dal vivo, mentre Haruomi Hosono e Yukihiro Takahashi militavano già da anni in progetti orientati sul jazz e sulle più disparate ibridazioni rock. Il loro legame fu inizialmente quello di sessionmen, prima negli album di Hosono solista e poi nell'opera prima di Sakamoto, "Thousand Knives". Il clima creativo che sempre meglio andava miscelando le potenzialità dei suoi artefici concepì quelle geniali intuizioni melodiche che di lì a poco avrebbero portato non solo al consolidamento della band, ma anche a un improvviso picco di popolarità. Lo spirito sperimentale di Cage, la leggerezza dei Beatles e il formalismo dei Kraftwerk furono i capisaldi che ressero questa peculiare commistione d'elettronica zuccherina con suoni provenienti da ogni angolo del mondo: asiatico ed esotico, eclettico e ironico. Le virate più eccentriche e ricche si consumarono nel loro primo album omonimo del 1978, un disco che suona come un tripudio di drum machine, sequencer e composizioni vincenti da parte di tutti i membri del trio: strumentazione sintetica modernissima attraverso cui si distendevano linee melodiche orientaleggianti, imbizzarrite da effetti giocosi e psichedelici, battiti frenetici e sprazzi non solo di jazz, ma anche di disco e di caribbean sound. Un esordio carico di idee sorprendentemente efficaci, che vennero minuziosamente raffinate nell'album successivo, forse il loro vero capolavoro. "Solid State Survivor" fa ordine nel flusso creativo e presenta arrangiamenti puliti, ordinati, perfettamente strutturati. L'affiatamento è al suo vertice e le tre personalità sembrano essersi fuse in un unico genio, tant'è che i contributi di ognuno sono indistinguibili: ogni tassello sonoro è al suo posto e le melodie sono a dir poco memorabili. L'impressione è quella di una svolta commerciale, soprattutto per l'immediatezza che caratterizza ogni singolo pezzo; "Technopolis" ne è l'esempio assoluto: un inno a una Tokyo d'avanguardia, prima con minuziose frammentazioni vocali, poi con il suo storico tema principale, evocativo e luminoso, mentre la sezione ritmica non risparmia il suo invito al ballo, grazie anche alle diacroniche e alienanti ingegnerie elettroniche di Hideki Matsutake, il quarto membro "non ufficiale" della band. Il seguito procede sulla stessa sinuosa riga: le bizzarre e corpose sparate sintetiche tappano ogni secondo di "Absolute Ego Dance", in cui strofe flautate si accavallano in una corsa sfrenata al futurismo, con brillanti tocchi arabeggianti e un'eco vagamente trance. Un impeto energico (tributo a uno storico lottatore di sumo e a un celebre robot d'animazione, entrambi omonimi) prende forma con "Rydeen", uno dei cavalli di battaglia della band: ancora una volta la linea melodica principale (molto disco-oriented) sembra la sigla di un anime anni 70: esemplare nell'ascesa (con tanto di cavallo al trotto) al mitico ritornello, immersa in un groviglio impressionante di puntigliosi sequencer che infondono un febbrile dinamismo e completano il brillante lavoro di una batteria già di per sé notevolmente incalzante. Il ritmo ossessivo del disco è sedato con un arrivo inaspettato: "Castalia" (ispirata dal film "Solaris" di Tarkovsky) è una splendida ballata di ambient elettrico, con solo un battito soffuso e sostenere la melodia tenebrosa, corale, cosmica, con punte di classicismo dettate da radi interventi di piano. Dopo questa breve pausa, il disco abbandona il languore e ripercorre la linea su cui era stato inizialmente indirizzato. "Behind The Mask" non è solo uno dei pezzi più famosi della band, ma una delle composizioni più riuscite di Sakamoto: il ritornello psichedelico, quasi spettrale, è accompagnato da frammenti sonori sognanti e da una ritmica lenta e avvolgente, con il puntuale intervallarsi dei versi robotici di Chris Mosdell. L'alternarsi di tensione melodica e concessioni da ballad conferiscono al pezzo una versatilità che avrà modo di manifestarsi non solo nei numerosi rimaneggiamenti elettronici e classici di Sakamoto, ma anche nei tributi pop/rock di Eric Clapton e Michael Jackson, il quale, nella sua versione, darà più spazio alle liriche. C'è spazio persino per la cover: la beatlesiana "Day Tripper" viene interpretata dalla voce trattata e singhiozzante di Takahashi, accompagnato dal classico basso elettrico, tastiere liquide e dalla chitarra di Makoto Madoka in primissimo piano, a cui viene concesso persino l'assolo. Dopo la cupa e notturna "Insomnia", composta dal solo Hosono, la felice conclusione dell'album è segnata da un'opera digital-punk dalla vena sognante e cibernetica: "Solid State Survivor" è un fulgido saggio new wave che riesce a conservare una solida cadenza dance pur con abbondanti distorsioni di chitarra, cacofonie vocali e un cantato decadente. Senza mai cedere a leziosità o cadere in soluzioni minimamente ruffiane, la magica orchestra gialla è riuscita nell'intento di fusione di mille culture e sonorità, rifinendo il tutto con una straordinaria e originalissima patina di nipponismo, il loro vero marchio di fabbrica che li ha resi noti in tutto il mondo. Una matrice di lusso per un prodotto popolare, sgargiante bandiera di una musica nuova che sopravvive alla tecnologia e alle tendenze, dimostrando irriducibile flessibilità interpretativa e confermando instancabilmente un successo che ha fatto storia.
Discografia:
1978 - Yellow Magic Orchestra
1979 - Solid State Survivor
1980 - Public Pressure
1980 - X∞ Multiplies
1980 - The YMO Micro Sampler
1981 - BGM
1981 - Technodelic
1983 - Service
1983 - Naughty Boys
1984 - After Service
1992 - Complete Serice
1993 - Technodon